Thursday, 16 December 2010

Music from 2010

Classifica di quelle che secondo il sottoscritto sono state le migliori uscite discografiche del 2010.


1
Endless Falls

Loscil

Endless Falls (2010)
2
One-Armed Bandit

Jaga Jazzist

One-Armed Bandit (2010)
3
Hammeriver

Hammeriver

Hammeriver (2010)
4
Does It Look Like I'm Here?Emeralds
Does It Look Like I'm Here? (2010)

5
613

Chapelier fou

613 (2010)
6
Mare

Julian Lynch

Mare (2010)
7
Sleepwalkers

David Sylvian

Sleepwalkers (2010) [Compilation]
8
There Is Love in You

Four Tet

There Is Love in You (2010)
9
Mulatu Steps Ahead

Mulatu Astatke

Mulatu Steps Ahead (2010)
10
For 2

Alva Noto

For 2 (2010)
11
Belus

Burzum

Belus (2010)
12
Moving on the Edges of Things

This Will Destroy You

Moving on the Edges of Things (2010) [EP]
13
Unter | Über

Nils Frahm

Unter | Über (2010) [EP]
14
Contra

Vampire Weekend

Contra (2010)
15
Heligoland

Massive Attack

Heligoland (2010)

Tuesday, 9 November 2010

Music for NOSFERATU

Queste mese si terrà il "Torino Best Soundtrack Awards", piccolo ma ambizioso concorso per compositori organizzato da diversi enti del capoluogo piemontese.
Si può partecipare in una di queste 4 categorie:
• Best Soundtrack
• Best Cover
• Suoni di Torino
• Best Videoclip
Inizialmente volevo proporre qualcosa con la band in quanto siamo in fase di scrittura del nuovo materiale ma per realizzare un videoclip avevamo a disposizione troppo poco tempo.
Per questo motivo ho deciso di partecipare da solo nella sezione "Best Soundtrack", realizzando una musica per una scena estratta da un film già esistente.
La pellicola che ho deciso di personalizzare è stata quella di "Nosferatu", il capolavoro di Murnau del 1922.

Aldilà della grandezza di questo film, tale scelta è stata dettata anche da quello che è era da tempo un mio desiderio: dare una nuova dimensione musicale al primo Dracula cinematografico della storia.
La partitura originale scritta dall'ambiguo Georg Fliebiger, a differenza di molti altri film del periodo espressionista Tedesco, mi ha sempre lasciato con l'amaro in bocca.
Ciò è dovuto probabilmente alla visione che ho sempre avuto io dei vampiri (quelli veri):
Romantici, tormentati, educati e naturalmente passionali.
La musica di Flieberg, a mio modo di vedere, trascura un pò questi aspetti regalando in Nosferatu una dimensione oggettivamente cupa ma priva di omaggi alla figura del Conte.
Avere la pretesa di migliorare un capolavoro non mi appartiene.
Con "Music for Nosferatu" non pretendo nulla.
In questa clip ho solo cercato di rendere pubblica la mia visione del vampiro tenendo comunque conto delle sue caratteristiche principali.
La sequenza di immagini che ho scelto (leggermente editata per il concorso) è quella in cui il conte Orlok riesce finalmente ad affascinare Ellen, convincendola ad aprire la finestra per farlo entrare.
Una scena non priva di un certo erotismo, con l'ombra della mano del conte che scivola sul seno della ragazza provocandole un fremito di eccitazione.
Proprio l'erotismo è un altro aspetto che nelle musiche di Flieberfg traspare molto poco.
Probabilmente, da questo punto di vista, il mio lavoro è leggermente più esplicito o forse no.
L'eros, il romanticismo, il fascino ecc. sono tutte concezioni profondamente soggettive e di conseguenza, l'ultimo accordo di pianoforte presente in questa clip, potrebbe anche lasciarvi indifferenti.
L'unico aspetto che non può essere messo di certo in discussione è il magnetismo del Nosferatu.
Immortale, anche alla luce del sole.


Edgar

Tuesday, 21 September 2010

I PRIMI PASSI

Ieri sera, al "Mordecai Studio" di Marco Molteni, si è svolto il primo incontro tra i membri del progetto "Edgar", progetto post-rock fondato dal sottoscritto meno di un anno fa (inizialmente come solista).
Tale incontro è servito a conoscerci, a fare il punto della situazione, a stabilire i concetti, a confrontare le idee di partenza e a decidere con quale pezzo cominciare la nostra avventura tra quelli presenti nell'EP rilasciato dal sottoscritto nel Giugno scorso.
Tutto è andato molto bene, probabilmente anche meglio del previsto.
I primi tre componenti che ho fortemente voluto ed ottenuto all'interno del progetto, prima di ieri, non avevano mai avuto l'occasione di conoscersi.
Il mio timore iniziale, di conseguenza, era quello di percepire in studio un'eventuale mancanza di sintonia.
Fortunatamente le cose sono andate in modo totalmente opposto.
Dopo la discussione inziale ci siamo trovati ad improvvisare una versione semi-unplugged del pezzo scelto (che naturalmente terremo nascosto fino alle prime pubblicazioni).
Una chitarra acustica, una elettrica, un synth ed un timpano (suonato da colui che nella band avrà il ruolo di bassista) hanno scaldato l'atmosfera e soprattutto hanno fatto rivivere al sottoscritto l'emozione di suonare insieme agli altri, ovvero un'esperienza che, a causa della professione di compositore e sound designer, mancava da ormai sette anni.
Attualmente ognuno di noi sta lavorando alla propria partitura e sta cercando di trovare i due componenti che ancora mancano all'interno della band (un batterista ed una violoncellista).
L'obbiettivo è quello di incontrarci nuovamente in tempi brevi e di cominciare le prove ufficiali, in modo tale da lavorare insieme al vecchio e al nuovo materiale che verrà pubblicato e naturalmente suonato dal vivo.
Non appena la band sarà al completo arriveranno anche le dovute presentazioni ma per il momento accontentatevi di continuare ad ascoltare il primo EP e di attendere l'ingresso di Edgar con le giuste dosi di pazienza ed ansia (del resto sempre di post-rock si tratta).
Mi raccomando, fatevi trovare pronti.


Edgar

Wednesday, 25 August 2010

RECENSIONE: "MOVING ON THE EDGES OF THINGS" - THIS WILL DESTROY YOU


La frase "il post-rock è tutto uguale", da un pò di tempo a questa parte, è ormai sulla bocca di tutti: band, critici, semplici ascoltatori ecc.
Il motivo di ciò, a mio avviso, è molto semplice.
Nell'ultima decade abbiamo contribuito ed assistito alla nascita (e in alcuni casi anche alla consacrazione) di artisti provenienti da tutto il mondo (Islanda, Svezia, Virginia, Texas, Scozia, Malesia, Italia ecc.). Tale partecipazione, naturalmente, ha fornito una quantità inverosimile di materiale da ascoltare e di conseguenza ci siamo ritrovati tra le mani centinaia e centinaia di tracce aventi più o meno la stessa struttura: pad ambientali, leitmotiv chitarristici dal sapore malinconico, elementi noise, distorsioni esplososive nella fase finale dei pezzi (spesso molto lunghi) ecc.
Il fatto che tali strutture dopo un pò possono facilmente annoiare, però, non è poi così scontato.
Il vero motivo dell'attuale accanimento critico nei confronti del post-rock, a mio modo di vedere, risiede proprio nella quantità eccessiva di artisti o pseudo-tali che in questi anni si sono cimentati in questo genere.
Insomma, tale problema è facilmente paragonabile a quello generale della musica di qualità.
Oggi tutti hanno un portatile con il quale poter far musica, di conseguenza abbiamo una miriade di lavori ignobili e diventa davvero difficile riuscire a scovare della musica realmente valida (che anni fa risaltava invece con maggiore facilità). Ecco,questo vale anche per il post-rock.
Gruppi come "Mogwai" o "Mono" ok, grazie a questa tendenza vendono e fanno più date che in passato, ma sempre a causa di ciò oggi dobbiamo subirci gentaglia come "Explosion in the Sky", "God is An Astronaut", "65 Days of Static" ecc., che prendono semplicemente gli elementi superficiali di questo genere e che di conseguenza finiscono col metterlo in cattiva luce.
Per fortuna, se si ha la pazienza e la volontà necessaria, col tempo si riescono a scovare band come i "This Will Destroy You", che non saranno di certo i paladini dell'originalità ma che sicuramente hanno sempre incarnato il genere rispettandone le basi e gli elementi necessari (spesso considerati secondari dalle band citate in precedenza) per poi riuscire a compiere quella che è da sempre l'unica vera missione del post-rock: Far pensare.
Probabilmente, i TWDY, hanno la piena consapevolezza di tutto ciò e per questo motivo hanno rilasciato un lavoro come "Moving on the Edges of Things" (il loro ultimo EP uscito meno di un mese fa e che precede l'uscita del prossimo album "Tunnel Blanket").
Forse dovranno affrontare critiche, domande e preoccupazioni da parte di chi li ha sempre seguiti e stimati, ma sicuramente avranno la sicurezza di aver fatto qualcosa sulla quale i detrattori del genere dovranno assolutamente riflettere.
"Moving on the Edges of Things" è infatti un EP composto soltanto da due tracce dove del post-rock, dal punto di vista stilistico, non c'è nemmeno l'ombra.
"Ritual" e "Woven Tears" sono infatti 2 esperimenti ambient composti da droni distorti che riportano in mente altri tentativi passati della band ("Villa del Refugio" su tutti) e che non lasciano spazio a nient'altro.
"Ritual" è costituito da delle armoniche basse che eseguono l'unica parte realmente suonata ma che col passare dei minuti (in totale 9:26) si lasciano coprire da degli strati di noise di diversa natura (distorsioni chitarristiche prima, effettistica ambient poi), per poi lasciare spazio ad alcuni feedback e pad in reverse, supportati da percussioni quasi sinfoniche che accompagnano il pezzo fino alla fine. Non è semplice assimilare questo pezzo ma mi sento di poter affermare che si tratta di qualcosa di veramente intenso e sicuramente valido.
"Woven Tears" è invece meno complicato (e onestamente meno interessante).
Qui troviamo un paesaggio sonoro di quasi cinque minuti a metà strada tra l'industrial e lo shoegaze elettronico.
I loop serrati di percussioni e i reverse in synchro con l'inizio delle battute, probabilmente, aprono la strada a quello che sarà l'atteso (a questo punto attesissimo) "Tunnel Blanket", che fin'ora è stato presentato dal singolo "Communal Blood", un pezzo a metà strada tra i vecchi e i "nuovi" This Will Destroy You.
Insomma, forse il post-rock, o almeno quello vero, non è tutto uguale.
Voto: 7


Edgar

Wednesday, 18 August 2010

RECENSIONE: "DAGGER PATHS" - FOREST SWORDS

Un giovane Inglese di nome Metthew Barnes ha fondato un progetto chiamato "Forest Swords", presentato recentemente con l'EP "Dagger Paths" (disponibile solo su Vinile o su iTunes).
Tale EP, senza troppi giri di parole, è probabilmente una delle migliori uscite discografiche dell'anno.
Capace di mischiare senza confusione le attuali tendenze di fascia undergorund, "Dagger Paths" è un lavoro difficilmente etichettabile.
Nelle 6 tracce, infatti, generalmente comanda un giro di chitarra twang riverberata che si lascia dolcemente contaminare da spazi dub, ingredienti del miglior trip-hop (per intenderci quello degli ultimi Portishead), droni dall'animo decisamente soul, percussioni tribe e alcuni sprazzi di r'n'b destrutturata.
Il risultato è strabiliante.
"Dagger Paths" ci porta lungo un percorso di musica ricca di interpolazioni mistiche e talvolta angoscianti (nel senso emozionale del termine, sia chiaro).
Dei sei brani presenti nell'EP, i più interessanti sono i tre che durano di più:
"Glory Gongs" miscela infatti ambientazioni ipnotiche interrotte da un ritmo black che si nasconde sotto l'affascinante leitmotiv chitarristico in stile "Twin Peaks" ed esalta non poco.
"Hoylake Mist" è un viaggio di Folk sperimentale che ci prende e ci trascina direttamente su un altro pianeta e le lezioni impartite dall'Inghilterra DIY più underground, in questo brano, sono più che udibili.
"Miarches", invece, è il classico pezzo che va spesso a braccetto con i grigi pomeriggi autunnali, dove un semplice pensiero poco controllabile si tramuta in ansia nel giro di pochi minuti (in questo caso 6:23).
Quello di "Forest Sword" è un disco rurale nel quale serpeggiano sample angoscianti, rumorismi inquietanti e lacerazioni elettriche.
E' un lavoro sicuramente in linea con le origini di Barnes, adatto per accompagnarci in lunghe passeggiate notturne in luoghi pagani e tenebrosi come ad esempio la vecchia Inghilterra dalla quale l'artista proviene.
Gran disco, soprattutto se pensiamo al fatto che non è nemmeno un album e che soprattutto è il primo lavoro di quella che oggi appare come una nuova promessa dell'underground.
Voto: 8,5


Edgar

Friday, 6 August 2010

RECENSIONE: "THE SUBURBS" - ARCADE FIRE


La musica, quella vera, ci spiazza sempre.
Gli Arcade Fire ci avevano abituati a dei lavori ad alto tasso emotivo, a delle atmosfere sognanti caratterizzate da una dose massiccia di musica da camera miscelata alla perfezione con gli arrangiamenti indie-rock/radical-chic che tanto sono andati di moda nell'ultima decade.
Questo mix, per certi versi geniale e per altri molto furbo, ha catturato in sei anni una quantità innumerevole di sostenitori in tutto il mondo.
Gli Arcade Fire piacciono più o meno a tutti:
Piacciono alle orecchie difficili e tendenzialmente snob, piacciono a coloro che non hanno nemmeno idea di quanti dischi abbiano fatto in totale e piacciono anche a tanti, troppi addetti ai lavori come David Bowie (con il quale hanno anche collaborato), Peter Gabriel (che ha inserito la loro "My Body Is A Cage" nel suo ultimo album di cover), Coldplay ecc.
Un rumore del genere lo riesci a creare soltanto se parti col piede giusto e gli Arcade Fire, questo, l'hanno fatto nel 2004.
"Funeral", il loro album d'esordio, è uno dei capolavori discografici degli ultimi anni.
Seguito dal meno raggiante ma comunque più che valido "Neon Bible" del 2007, ha proiettato la band in una dimensione planetaria che è riuscita a scavalcare le 2 ondate musicali degli ultimi anni (il post-rock/folk scandinavo di artisti come Sigur Ròs e l'indie-rock anglo/americano di gente come Franz Ferdinand & Co.) e che col tempo ha catturato sempre più sostenitori impazienti di vederli ancora all'opera con un nuovo album e soprattutto con un nuovo tour.
Dopo tre anni (precisamente il 2 Agosto) è quindi uscito "The Suburbs", il loro tezo album in studio.
L'attesa e le aspettative, come già detto, erano tante.
La voglia di recensire quest'album con parole come "epico", "geniale" o "impressionante" devo ammetterlo, c'era tutta.
Purtroppo, se si ha un minimo di senso critico, si deve riconoscere che con un album come "The Suburbs" questo non può accadere.
Se vogliamo andare oltre ai limiti che ci mette un "RollingStone" (che lo paragona addirittura ad "Ok Computer"), dobbiamo ammettere che un album così non ce l'aspettavamo sicuramente.
"The Suburbs" presenta al mondo la nuova evoluzione degli Arcade Fire.
Dimenticate le atmosfere fiabesche dei primi due album e prendete la consapevolezza del fatto che questo concept si basa sui temi delle periferie urbane e dei sobborghi cittadini nei quali tutti i componenti del gruppo sono cresciuti.
In "The Suburbs" si parla solo di questo e lo si fa eliminando del tutto i cori che avevano caratterizzato fino ad oggi le canzoni della band Canadese, sostituendoli con una dose massiccia di sintetizzatori. I ritmi sono più serrati e a volte raggiungono dimensioni punk/stoner e le atmosfere generali dell'album rimandano ad artisti come Neil Young, Bruce Springsteen, Elton John, New Order e Depeche Mode.
Insomma, ad un primo e generale ascolto potremmo parlare subito di passo falso ma appunto, si tratta di una band che alle spalle ha un'eredità di 2 album come "Funeral" e "Neon Bible", di conseguenza è il caso di ascoltare ed analizzare per bene traccia per traccia e di capire quali sono adesso le vere intenzioni di Butler e soci (dato che da oggi appaiono sicuramente molto meno chiare).
L'album comincia con l'omonima "The Suburbs", canzone tutto sommato gradevole che con chitarra acustica e piano non si discosta poi tanto dalle vecchie sonorità della band (tant'è vero che è stata scelta come primo singolo). Pezzo introduttivo, niente di più.
La seguente "Ready to Start", in realtà, non è assolutamente sconosciuta ai fans.
Infatti la band l'aveva già presentata in una versione bootleg su "vimeo" qualche mese fa.
Il pezzo inizialmente tira (grazie soprattutto ad un giro di basso ben studiato) ma col passare dei secondi comincia a stancare come probabilmente non ha mai fatto prima un pezzo degli Arcade Fire e anche 4:16, dopo il primo ascolto, risultano troppi. Eccessivo.
"Modern Man" è una canzone che si descrive con pochi esempi: sonorità alla Moby, struttura alla Bowie e voce equalizzata alla Dave Grohl. Insomma, il primo esempio palese di come in questo album, gli Arcade Fire, prendano spunto da tutti e nessuno. Canzone da prendere in considerazione se si viaggia in macchina al tramonto. Per il resto la considero trascurabile.
Il quarto pezzo "Rococo", a mio avviso, è uno dei più belli di tutto il disco.
Non so se questa affermazione sia dovuta alla mia passione per la musica barocca (spesso nascosta), all'oggettiva validità del pezzo o alla presenza (seppur timida) di cori o di altri elementi dei vecchi Arcade Fire che già, dopo neanche quattro canzoni, cominciano a mancarmi parecchio. In ogni caso si tratta senza alcun dubbio di un esperimento ben riuscito.
"Empty Room" ci restituisce la voce della sempre dolce Régine Chassagne e solo per questo mi sento di valutarlo positivamente. Poi le sonorità un pò shoegaze danno al pezzo una dimensione davvero gradevole.
"City With No Children" continua invece il processo descrittivo di questo concept album.
Bel testo. Per quanto riguarda la musica, invece, qui ce n'è davvero poca. Inconsistente.
"Half Light 1" ed "Half Light 2" sono un momento di sperimentazione assoluta.
La prima delle due tracce infatti è un viaggio molto retrò che in un primo tempo può spiazzare, ma è solo quando ascoltiamo la seconda parte che ci rendiamo conto che in "The Suburbs", gli Arcade Fire, probabilmente hanno fatto il loro lavoro senza preoccuparsi più di tanto della reazione del mondo intero.
"Half Light 2" è infatti un pezzo alla New Order con tanto di cassa in 4, tappetoni di synth analogici e strutture decisamente 80's.
Sia chiaro, la New Wave e la Synth-POP a me sono sempre piaciute ma questo esperimento non prende assolutamente.
Il pezzo in questione, più che somigliare alle vecchie glorie di quel periodo, somiglia di più agli orrori proposti negli ultimi anni da quegli artisti che volevano ripercorrere determinate sonorità ma che in realtà hanno soltanto registrato i pezzi peggiori della propria carriera (come ad esempio ha fatto Moby nell'album "HOTEL"). Incomprensibile.
Per quanto riguarda "Suburban War" vale lo stesso discorso fatto per "City With No Children". Pezzo poco consistente che magari prenderà più forma dal vivo.
"Wasted Hours" invece è un pezzo molto bello. Così bello che starebbe bene all'interno di un "Funeral" o di un "Neon Bible". Probabilmente, quando hanno composto questa canzone, avevano un pò di nostalgia di se stessi. Comprensibile.
"Deep Blue" e "We Used To Wait" stupiscono ancora tra strutture alla Depeche Mode e alla Neil Young, ma la vera sorpresa dell'album arriva con "Sprawl II (Mountains Beyond Mountains)".
Questo pezzo viene preceduto da "Sprawl (Flatland)", 2:54 di inutilità totale, per poi sfociare in qualcosa di totalmente assurdo.
Con "Sprawl II (Mountains Beyond Mountains)" ci troviamo davanti ad un pezzo in pieno stile ABBA.
Groove sintetico, basso pulsante e voce di Régine Chassagne a metà strada tra quella di Agnetha Fältskog e quella di una cantante a caso delle sigle dei cartoni animati di quei tempi.
Sono tre giorni che ascolto questo pezzo e non riesco ancora a capire se si tratta di uno scivolone colossale o di un lampo di genio della band Canadese che ci aveva abitutato ad atmosfere di tutt'altro tipo.
Una cosa è certa, gli Arcade Fire stanno vivendo una metamorfosi musicale quasi incomprensibile.
"The Suburbs" non è un brutto album, ma ridimensiona l'entusiasmo scaturito negli ultimi sei anni nei confronti della band Canadese e ci spiazza pesantemente.
Forse neanche loro sanno bene dove vogliono andare a parare.
Forse si stanno facendo semplicemente trascinare dall'ispirazione e dalla voglia di fare.
Forse, facendo uscire questo disco, hanno solo voluto ridimensionare la soglia del rumore attorno al loro nome per preparare qualcosa di veramente poderoso per i prossimi anni.
Del resto, le ultime frasi presenti nell'ultima "The Suburbs (continued)", lasciano viva ogni speranza:
"If I could have it back / All the time that we wasted / I’d only waste it again/ Sometimes I can’t believe it, I’m moving past the feeling."
Poca consistenza musicale nelle canzoni, tanto coraggio.
Trattiamo "The Suburbs" come "The Suburbs" ha trattato noi.
Voto: 6



Edgar

Thursday, 29 July 2010

LA MUSICA DEI MORTI VIVENTI

Oggi siamo circondati da musicisti, cantanti o pseudo-tali che pronunciano frasi come "la musica è vita" o altre paraculate del genere.
Il motivo che mi spinge a criticare esternazioni di questo tipo è molto semplice.
Questo genere di frasi vengono pronunciate per delle forzature dettate sia dal music-business, che dalla paura di apprendere la realtà da parte degli ascoltatori (soprattutto in Italia).
Mi spiego meglio.
L'essere umano si sa, è spesso turbato dal pensiero della morte e di conseguenza fa di tutto (spesso inconsapevolmente) per evitarlo.
Il modo più scontato e apparentemente semplice per riuscire in tale impresa è senza dubbio quello di amare la vita ed ogni forma di attaccamento positivo ad essa.
Forse è giusto, sano e probabilmente costruttivo per il raggiungimento della felicità, ci mancherebbe (io personalmente mi dissocio da questo tipo di ragionamento).
Quello che trovo molto scorretto e decisamente ipocrita (per non dire paraculo) è il mascherare di tale pseudo-ottimismo determinate realtà come la musica, che invece vanno decisamente oltre a quello che può giovare al popolo e alla sua lotta contro la paura di morire.
Pochi giorni fa, camminando nei pressi del famoso "Holyrood Park" di Edinburgo (zona sud-est), mi sono trovato di fianco ad un piccolo cimitero tipicamente British.
Purtroppo il cimitero in questione era chiuso (del resto si dice "Rest In Peace") e di conseguenza mi sono dovuto accontentare di osservarlo dall'esterno, più precisamente dall'elegante ringhiera che lo divideva dal marciapiede.
In quel momento, neanche a farlo di proposito, stavo ascoltando "Adagio For Strings" di Samuel Barber, ovvero un'opera che spesso e volentieri accompagna scene di morte in diversi film ("Elephant Man" di David Lynch, tanto per dirne uno).
Tale coincidenza mi ha portato inevitabilmente a riflettere sul connubio tra musica e morte, ovvero un'unione che esiste da sempre e che è in realtà molto più concreta di quella tra musica e vita.
Per rendirci conto della solidità storica di questo legame, infatti, basta pensare alle innumerevoli "Requiem" composte dal periodo pre-classico a quello post-romantico, oppure ad altre composizioni come il poema sinfonico "Dase Macabre" di Camille Saint-Saëns (1874), ispiriato addirittura all'omonima opera iconografica di epoca mediavale.

Anche nell'ultimo secolo il tema della morte è stato spesso affrontato attraverso la musica, anche se in modo diverso (più narrativo e meno concettuale) a causa della commercializzazione della musica leggera.
Musica e morte sono due realtà indiscutibilmente di stampo emozionale e di conseguenza viaggiano da sempre sugli stessi binari sensoriali dell'essere umano. Infatti non bisogna dimenticare che entrambi i fenomeni hanno la stessa identica tipologia di svolgimento. La morte e la musica sono infatti delle dimensioni ben determinate, consecutive rispettivamente al morire e al suonare.
Provare a scindere le due cose equivale quindi a cercare di snaturale solo per ottenere l'attaccamento di un pubblico impaurito e che per far fronte alla propria paura spende dei soldi (o clicca "download") a favore di coloro che apparentemente sembrano in grado di proporre una salvezza che in realtà non esiste e che anzi, non fa altro che rimandare l'unico vero processo inevitabile presente in natura (e spesso, dopo aver rimandato un problema, questo assume dimensioni titaniche nel momento in cui non si può più fare a meno di affrontarlo).
La scelta, come sempre, sta a noi:
Fare i cagasotto e credere a coloro che parlano di un "per sempre" che non esiste, o prendere la consapevolezza che l'unica certezza che abbiamo meriti più rispetto e soprattutto meriti di essere accompagnata da un'arte sincera?
Scegliete bene, non abbiate fretta, tanto di tempo ne avete abbastanza. Forse.

Edgar

Monday, 26 July 2010

PRIMI DI DUEMILADIECI

Musicalmente, il 2010, è stato (e probabilmente continuerà ad essere) un anno molto interessante.
Lasciando da parte l'imminente uscita di "The Suburbs", terzo album degli ormai celebri Arcade Fire (che in ogni caso non ha regalato delle anteprime poi così eccitanti) e cercando di non porsi troppe volte al giorno la domanda "uscirà il nuovo album dei TOOL si o no?" (impresa più che ardua), gli ultimi sette mesi ci hanno regalato sicuramente dei titoli degni di nota.
A differenza del 2009, anno in cui ha stradominato l'ambient (Tim Hecker - An Imaginary Country, Mountains - Coral, Black To Comm - Alphabet 1968 ecc.), il 2010 presenta più colori.
Il motivo non mi è ancora chiaro.
Forse sarà perchè le parole "crisi" ed "emo" cominciano a pesare di meno anche in un territorio apparentemente immune come quello dell'avanguardia?
O magari questo risvolto più ritmato si deve al ritorno di nomi pesanti come ad esempio quello dei Massive Attack o addirittura di Varg Vikernes in arte "Burzum"?
Magari nessuna delle due ipotesi è quella corretta.
Magari il 2010 ci sta regalando determinate perle solo perchè come anno in se, suona proprio bene (DUEMILADIECI).
Quello che è certo è che album come "One Armed Bandit" dei Jagga Jazzist, "Mulatu Steps Ahead" di Mulatu Astatke, "Does It Look Like I'm Here" degli Emeralds o "613" di Chapelier Fou, per farci cambiere idea sul nostro concetto di pessimismo e per regalarci almeno qualche minuto di chaos per una volta esteriore, ce la stanno mettendo tutta.
L'anno non è ancora finito, di conseguenza oggi ci si può limitare soltanto a fare dei nomi senza nessun piazzamento. Al massimo, se proprio vogliamo giocare al "piccolo critico", possiamo mostrare quella che forse è la cover più azzeccata con i contenuti del disco (fin'ora):


Un'altro aspetto molto importante di questo 2010 è senza dubbio quello dei giorni sul calendario da segnare con una grossa X in neretto.
Tralasciando coloro che sono già venuti a trovarci (es. Deftones), ci sono diversi artisti che tra non molto passeranno dalle nostre parti.
Alcuni di questi sono considerati dalla critica mondiale come le nuove bandiere del post-rock, altri invece non hanno certo bisogno di presentazioni ma al massimo di un articolo interamente dedicato a loro su questo blog (questione di tempo):
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• Arcade Fire 02.07.10 - Arena Parco Nord, Bologna.

• This Will Destroy You 07.10.10 - Apartamento Hoffman, Conegliano (TV), 08.10.10 - Init Club, Roma, 09.10.10 - King Club, Livorno.

• Einstürzende Neubauten 14.11.10 - Estragon, Bologna

• Caspian - Data e luogo da definire (probabilmente Dicembre)
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Sicuramente non stiamo vivendo il periodo più bello della storia della musica mondiale, ma a quanto pare quest'anno non abbiamo molto materiale per lamentarci.
Certo è che un pò di chiarezza la si dovrà fare.
Johann Sebastian Bach diceva che non ci si deve mai fidare della musica che si presenta bella al primo ascolto (e pare che di musica Bach ne capisse abbastanza).
Sicuramente, col beneficio del dubbio, uno dei titoli citati in questo articolo perderà qualche punto col passare del tempo (così come qualcun'altro potrebbe guadagnarselo meritatamente).
In ogni caso dato che non sono ancora state fatte delle classifiche possiamo ancora stare tranquilli con le nostre coscienze e goderci i primi frutti di questa semi-annata.
Saluti da Edinburgh, dove giovedì prossimo assisterò ad un concerto per dieci cornamuse.
Dieci, come DUEMILADIECI.


Edgar

Sunday, 25 July 2010

LIGA L'ITALIA

La maggior parte dei miei "amici" dei social network sta postando link di Luciano Ligabue a ripetizione. Perchè?
Semplice: in questi giorni, il vecchio (e lo è davvero) Liga, si sta esibendo nei principali palchi Italiani. Di conseguenza tutti vanno ai suoi concerti e tutti si fanno trascinare da uno stato di demenza cronica che spesso e volentieri si trasforma in una sorta di semi-sudditanza da post-concerto.
Succedeva anche a me prima di compiere vent'anni, si chiaro, ma non per Ligabue (sia ancor più chiaro).
Non parlerò di quanto sia qualitativamente scarso Ligabue perchè questo lo sanno sia coloro che s'intendono di musica e sia coloro che non se ne intendono. Insomma, la questione è vecchia e la si può tranquillamente ignorare.
Piuttosto parlerò di un altro aspetto che in Italia è rappresentato anche da ciò che un personaggio come Ligabue comunica, in quanto non si sta parlando di un Gigi D'Alessio che rappresenta il nazional-popolare, ma si sta parlando di un Ligabue che riempie gli stadi da anni.
Luciano Ligabue è uno dei massimi esponenti di quella categoria di persone che in Italia rappresenta un modo di pensare, di agire e soprattutto di scegliere.
Chi sceglie Ligabue spesso si crede o un "romantico" o un "ribelle".
Del resto il secondo Luciano più famoso d'Italia parla da anni ed anni di "Rock'n'Roll" e di "amore" (non proprio le 2 parole più sconosciute al mondo).
Se parliamo di ribellione la questione è legata al finto rock che il Liga ci propone.
Nel senso che come quasi tutti sanno, il rock è legato alla ribellione e di conseguenza il rocker è anche un ribelle.
Ligabue non è un ribelle.
Ligabue è un miliardario che da anni continua a proporre una musica qualitativamente molto scarsa e spesso e volentieri lo fa anche male come al suo famoso concerto di qualche anno fa a Campovolo, dove file di spettatori paganti potevano tranquillamente conversare tra di loro dato che un "problema audio" non permetteva a questi di poter sentire il loro beniamino (che in ogni caso quella sera si è intascato i soldi e qualche mese dopo ha fatto uscire addirittura un DVD relativo all'evento).
Questo non è Rock e spero che fin qui siate tutti d'accordo.
La ribellione Ligabue non l'ha mai fatta e non la farà mai.
Ligabue fino a qualche mese fa ha dichiarato di sentirsi vecchio.
I veri rockers, e soprattutto i veri VECCHI rockers, rockeggiano ancora e lo fanno molto bene (es: AC/DC).
Nonostante le vere droghe che prendono da anni (che sono ben diverse dalle casse di malox che il Liga conserva probabilmente a Correggio) continuano a suonare e a portare avanti una parola che oggi magari non vale più molto, ma che comunque rimane sempre coerente con lo stile di vita di chi l'ha pronunciata (e di questi tempi non è poco).
Sapendo bene che i fan di Ligabue non sono interessati alla questione (probabilmente perchè non sono interessati ne al rock e ne alla ribellione), parlerò dell'altro aspetto legato al successo del Luciano nazionale.
Parlerò d'amore.
Conosco almeno una cinquantina di coppie che come propria canzone ha "scelto" una canzone del Liga.
La cosa non solo la trovo abbastanza triste, ma la trovo addirittura preoccupante.
Oggi, come stanno le coppie Italiane? Come sta messo l'amore in Italia?
Siamo veramente un paese destinato a cantare una "piccola stella senza cielo" per farci perdonare per un tradimento o da chissà quale altra carnevalata sentimentale?
Siamo davvero un paese che non riesce a trovare una canzone migliore di "ho messo via" da ascoltare nel momento in cui si viene lasciati dal proprio partner?
Siamo un paese destinato ad attaccare lucchetti (ennesimo simbolo ribaltato dalla generazione moderna http://www.poster.net/vicious-sid/vicious-sid-live-6500029.jpg) per poi andare a cantare "l'amore conta" insieme alla nostra fidanzata? A quanto pare si perchè in questo tour, Ligabue, sta registrando un somma record di vendite di biglietti. Di conseguenza è probabile che su 4 amici che avete, 2 (probabilmente una coppia) siano andati al concerto.
Sapete cosa vuol dire questo?
Questo vuol dire che dall'epoca del Romanticismo ad oggi, personaggi come Madame de Stäel, Victor Hugo, Giacomo Leopardi e Luigi Tenco, sono morti per nulla.
Attenzione, non fate l'errore di credervi immuni a tutto ciò solo perchè ascoltate cose che vanno dai "Dark Funeral" ai concerti scritti da Mozart per flauto ed arpa.
Il testo di "l'amore conta", una volta, mi è stato inviato per sms da una persona che era perfettamente consapevole dei miei gusti musicali (e ho detto tutto).
Se l'amore conta è perchè l'amore è una cosa seria.
Le cose serie, per favore, non affidatele a Ligabue.

Edgar

Saturday, 24 July 2010

HELL(O)

Mi chiamo Edgar e Vivo a Milano, dove esercito 2 professioni:
• Sound Designer/Compositore
• Docente di scuola superiore
Come sound designer/compositore, negli ultimi 2 anni (ovvero una volta conseguito il diploma dello IED di Milano nel corso di "Sound Design"), ho svolto una serie di lavori.
Alcuni di questi per emittenti famose come Mediaset, altri invece per progetti indipendenti.
Per mediaset, ad esempio, ho realizzato il sound design della sigla di Moto-GP Quiz dello scorso anno e il sound design delle puntate di Angel's Friends (in collaborazione con Fabrizio Martini), un cartone animato per bambini andato in onda lo scorso inverno.
A livello indipendente, invece, ho realizzato diversi lavori come ad esempio la produzione della parte audio di "Fondere il XXI secolo" (un'installazione organizzata all'interno della Fonderia Artistica dei F.lli Battaglia di Milano), la realizzazione del sound design e della colonna sonora di "Berlikete" (un cortometraggio di Ivana Smudja che è stato recensito anche da alcuni magazines nazionali come Rumore e Rockerilla) e la realizzazine del sound design e delle musiche per la demo di "Neighborodd", un progetto di animazione 3D del "Chaosmonger Studio" di Nicola Piovesan.

Fondere il XXI secolo:

Berlikete:

Berlikete from Ivana Smudja on Vimeo.


Creare musiche ed effetti sonori per altri prodotti media è oggi indispensabile.
Per questo motivo mi preoccupo di insegnare ai giovanissimi questo tipo di professione.
A Camerlata (CO), sono infatti docente di "Lab. di Suono" nel corso di "Comunicazione Audiovisiva" dell'I.P.S.I.A. Ripamonti.
In realtà, oltre ad assicurarmi il completo apprendimento delle tecniche di post-produzione da parte degli studenti, mi cimento spesso nella spiegazione della storia della scena musicale mondiale dagli inzi del '900 ai giorni nostri.
Questo accade perchè la passione per questo tipo di studi mi accompagna da molti anni.
Infatti, dal '98 ad oggi, studio costantemente i percorsi musicali di ogni genere.
Dalla POP-Music alle avanguardie di nicchia, cerco di apprendere ogni tipo di produzione e di analizzarla in tutte le sue fasi, in modo tale da prenderne il meglio e di lasciare da parte la grande quantità di spazzatura che oggi domina nei nostri (vostri) lettori mp3.
Tale passione mi ha spinto anche a fondare, qualche mese fa, un progetto musicale omonimo di electro-acustic, ambient e post-rock.
Tale progetto è soltanto alle battute iniziali e per la prossima stagione è in programma (grazie anche alla collaborazione di altri musicisti che faranno parte della formazione live), la stesura del nuovo materiale.
Edgar, quindi, è anche questo:
EDGAR by _Edgar_

Da questo link potete scaricare l'intero EP (5 tracce, iTunes cover and credits):
http://www.mediafire.com/?yjijw3gi1wn

Da quest'altro potete accedere alla pagina fan di Facebook:
http://www.facebook.com/pages/Edgar/129610307049691

Il myspace, invece, lo trovate a questo indirizzo:
http://www.myspace.com/edgarartist

La musica, da come avrete senz'altro capito, sarà la materia principale di questo blog.
Le recensioni dei dischi, le critiche, le tematiche a sfondo artistico e/o audiovisivo ecc., saranno i contenuti principali che verranno affrontati.
Se voi lettori avrete la voglia e la pazienza di partecipare alle discussioni riguardo questi argomenti o di proporne degli altri, potrete contattarmi all'indirizzo mail presente nel mio profilo.
Attualmente mi trovo ad Edinburgo (Scozia), ed è da qui che vi porgo il mio primo saluto.

Edgar