
La frase "il post-rock è tutto uguale", da un pò di tempo a questa parte, è ormai sulla bocca di tutti: band, critici, semplici ascoltatori ecc.
Il motivo di ciò, a mio avviso, è molto semplice.
Nell'ultima decade abbiamo contribuito ed assistito alla nascita (e in alcuni casi anche alla consacrazione) di artisti provenienti da tutto il mondo (Islanda, Svezia, Virginia, Texas, Scozia, Malesia, Italia ecc.). Tale partecipazione, naturalmente, ha fornito una quantità inverosimile di materiale da ascoltare e di conseguenza ci siamo ritrovati tra le mani centinaia e centinaia di tracce aventi più o meno la stessa struttura: pad ambientali, leitmotiv chitarristici dal sapore malinconico, elementi noise, distorsioni esplososive nella fase finale dei pezzi (spesso molto lunghi) ecc.
Il fatto che tali strutture dopo un pò possono facilmente annoiare, però, non è poi così scontato.
Il vero motivo dell'attuale accanimento critico nei confronti del post-rock, a mio modo di vedere, risiede proprio nella quantità eccessiva di artisti o pseudo-tali che in questi anni si sono cimentati in questo genere.
Insomma, tale problema è facilmente paragonabile a quello generale della musica di qualità.
Oggi tutti hanno un portatile con il quale poter far musica, di conseguenza abbiamo una miriade di lavori ignobili e diventa davvero difficile riuscire a scovare della musica realmente valida (che anni fa risaltava invece con maggiore facilità). Ecco,questo vale anche per il post-rock.
Gruppi come "Mogwai" o "Mono" ok, grazie a questa tendenza vendono e fanno più date che in passato, ma sempre a causa di ciò oggi dobbiamo subirci gentaglia come "Explosion in the Sky", "God is An Astronaut", "65 Days of Static" ecc., che prendono semplicemente gli elementi superficiali di questo genere e che di conseguenza finiscono col metterlo in cattiva luce.
Per fortuna, se si ha la pazienza e la volontà necessaria, col tempo si riescono a scovare band come i "This Will Destroy You", che non saranno di certo i paladini dell'originalità ma che sicuramente hanno sempre incarnato il genere rispettandone le basi e gli elementi necessari (spesso considerati secondari dalle band citate in precedenza) per poi riuscire a compiere quella che è da sempre l'unica vera missione del post-rock: Far pensare.
Probabilmente, i TWDY, hanno la piena consapevolezza di tutto ciò e per questo motivo hanno rilasciato un lavoro come "Moving on the Edges of Things" (il loro ultimo EP uscito meno di un mese fa e che precede l'uscita del prossimo album "Tunnel Blanket").
Forse dovranno affrontare critiche, domande e preoccupazioni da parte di chi li ha sempre seguiti e stimati, ma sicuramente avranno la sicurezza di aver fatto qualcosa sulla quale i detrattori del genere dovranno assolutamente riflettere.
"Moving on the Edges of Things" è infatti un EP composto soltanto da due tracce dove del post-rock, dal punto di vista stilistico, non c'è nemmeno l'ombra.
"Ritual" e "Woven Tears" sono infatti 2 esperimenti ambient composti da droni distorti che riportano in mente altri tentativi passati della band ("Villa del Refugio" su tutti) e che non lasciano spazio a nient'altro.
"Ritual" è costituito da delle armoniche basse che eseguono l'unica parte realmente suonata ma che col passare dei minuti (in totale 9:26) si lasciano coprire da degli strati di noise di diversa natura (distorsioni chitarristiche prima, effettistica ambient poi), per poi lasciare spazio ad alcuni feedback e pad in reverse, supportati da percussioni quasi sinfoniche che accompagnano il pezzo fino alla fine. Non è semplice assimilare questo pezzo ma mi sento di poter affermare che si tratta di qualcosa di veramente intenso e sicuramente valido.
"Woven Tears" è invece meno complicato (e onestamente meno interessante).
Qui troviamo un paesaggio sonoro di quasi cinque minuti a metà strada tra l'industrial e lo shoegaze elettronico.
I loop serrati di percussioni e i reverse in synchro con l'inizio delle battute, probabilmente, aprono la strada a quello che sarà l'atteso (a questo punto attesissimo) "Tunnel Blanket", che fin'ora è stato presentato dal singolo "Communal Blood", un pezzo a metà strada tra i vecchi e i "nuovi" This Will Destroy You.
Insomma, forse il post-rock, o almeno quello vero, non è tutto uguale.
Voto: 7
Edgar